Non ho fatto in tempo a chiederti che cos’è l’arte per te
chissà cosa mi avresti risposto…
e chissà qual è stato il tuo ultimo pensiero prima di morire…
Anima sensibile tormentata la tua ..
osservo le tue opere per approfondire,opere che catturano attimi ,delle volte quasi teatrali,che rivelano una necessità,la necessità dell’Uomo di esprimersi.
Complesse quanto semplici,sentimenti che esprimono emotività colori che scintillano e riempiono l’anima
Il tempo che ti ha concesso il cielo,dedicato all’arte,esprimono anche la libertà evidente in un linguaggio che viene materializzato attraverso schizzi dipinti,sculture poesie…
Vita…ecco appunto Vita ..la SUA VITA!!!
Hai cantato la nostra Gerace attraverso varie forme ,un canto silenzioso a volte,che però è sempre arrivato a chi ti ha saputo apprezzare e riconoscere non a caso..in molti parliamo del GENIO
Quale significato la morte da a tutto questo?
Non profeti ma Uomini con le noste fragilità
non altezze ..con le nostre debolezze…
interminabile strade…
Riconosco in quest’artista tante sfumature…e le parole non servono quando l’opera parla
Non serve la gloria né prima né dopo..
le grandi altezze portano grandi cadute
quindi direi che tutto va come deve andare…
non la Fine..ma l’Inizio
Difendere sempre la sacralità dell’arte..nel percorso umano con rispetto e dignità
Non si cercano tasselli da aggiungere ma la luce e le scintille che capovolgono il tempo nel tempo!!!
Al nostro Geracese il nostro GRAZIE..
Maria Eleonora Zangara
Gli amici di “Turi” lo hanno voluto ricordare con una serata a lui dedicata,che si è svolta nel giardino della Famiglia Spanò ,giardino messo a disposizione per ospitare le opere di Spilinga ,gli amici e quanti hanno voluto omaggiarlo anche con un pensiero.
Commovente il luogo ,proprio di fronte la casa natale di Salvatore.
Hanno partecipato alla serata due grandi attori ,Francesco Migliaccio e Antonio Tallura,leggendo le poesie che Turi ci ha lasciato..
Sono intervenuti anche lo storico dell’arte Attilio Maria Spanò e l’amico d’infanzia Gianfranco Sansalone ,e infine il saxofonista Renato Trombì
Impossibilitata quella sera ad esserci,doverosa la mia presenza ,in quanto Turi aveva espresso il desiderio che io leggessi le sue poesie..lo avevo invitato a mandarmele ,lo avrei fatto volentieri ,in momenti che riservo all’arte in una delle mie tanti notti..ma poi..la notizia della morte.
Riporto una testimonianza dell’amico Sansalone
Per Turi
Gerace 20 agosto 2015
Sono due gli aggettivi (o i sostantivi?) che mi vengono in mente quando penso a Turi: sbulunatu e genio Ora, come è ampiamente noto, non tutti gli sbulunati sono geni, ma molti geni appaiono a volte sbulunati. E per questo in vita incontrano molte più difficoltà delle persone ordinarie ad essere capite. Il più grande esempio è forse Vincent van Gogh, nato nel 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi, e morto suicida a 37 anni, dopo un’esistenza di umiliazioni e di stenti. Oggi alcune sue opere valgono oltre 100 milioni di dollari. Ma i nomi dei geni incompresi sono tanti: Franz Kafka, Claude Monet, perfino Galileo. E qui mi inchino e mi fermo perché la lista sarebbe lunghissima. Ma in realtà pochi esempi probabilmente sarebbero calzanti, e non solo perché ogni vita è a sé. Ma perché il genio di Turi Spilinga in linea di massima non è mai stato messo in discussione quando era in vita. Anzi, era la parte della sua personalità che attirava molto tutti, grandi e piccoli, uomini e donne. Turi aveva un’intelligenza viva, arrivava sulle cose prima degli altri. Un bambino come è stato lui oggi sarebbe definito “iperattivo”. Carattere allegro, era molto sensibile, generoso, orgoglioso, testardo, competitivo, amava fare scherzi, gli piaceva da matti sorprendere il prossimo, ci teneva all’amicizia e sapeva voler bene. A scuola spesso si rincriscìa, si annoiava. Studiava il giusto e gli bastava guardare le cose una volta per capirle subito. Non per niente fin da ragazzino conosceva i misteri della corrente elettrica, degli impasti di vari materiali, il legno, smontava qualunque cosa, guardava com’era fatta e poi la rimontava. Vi propongo due ricordi, che mettono in luce la sua innata fantasia e il suo gusto della sfida, che sul piano artistico penso che negli anni siano state qualità che lo hanno portato a raggiungere molti obiettivi. Quando aveva 7-8 anni, su al Baglio non poco distante dal Castello, aveva trovato un residuato bellico della seconda Guerra Mondiale, un piccolo ordigno con una fascetta di rame in cima. Capì subito di cosa si trattasse, e chiese a un adulto se potesse scoppiare. «Non credo, dev’essere vuota ed è arrugginita – fu la risposta – ma la prendo io». Quella fascetta di rame, in cima, però attirava troppo Turi: nella sua mente ci vedeva un meraviglioso anello, magari decorato con qualche pietra. Non poteva mollare così. Vide che l’uomo nascondeva la bomba nel buco di un’armacera, un muro a secco, così si arrampicò e se la riprese, rassicurato dal fatto che non potesse scoppiare. Andò a sedere sul gradino del negozio di ceramiche che i suoi genitori gestivano dove ora c’è la pizzeria-pasticceria, e con un chiodo e una pietra cominciò a battere per sfilare quella che probabilmente era la spoletta di una vecchia granata. Il boato improvviso dell’esplosione che seguì i primi colpi, scosse i vetri della porta e le schegge della bomba distrussero mezzo negozio. All’ospedale gli ricucirono una natica e gli salvarono la mano sinistra. Per tutta la vita si portò, nel profondo taglio al dito medio che si era quasi staccato il ricordo dell’esperimento e la delusione per quel mancato anello di rame che nella sua mente di bimbo chissà come aveva immaginato di decorare e di rendere prezioso… Con Turi siamo stati compagni di classe e di banco, oltre che di giochi, e i ricordi sono tanti, da bambini e da adulti, anche se da quando sono andato via da Gerace, 37 anni fa, ci siamo persi di vista per poi ritrovarci e sentirci di tanto in tanto. L’ultima volta ci siamo parlati al telefono circa un mese prima che il suo cuore si fermasse. A scuola si rincriscìa, dicevo, e si inventava sempre qualcosa per far passare il tempo. Alle medie il nostro vice preside severissimo, temutissimo ma che ha dato, a tutti noi che abbiamo avuto la fortuna di essere suoi allievi, solide basi per gli studi successivi: ci insegnava italiano, latino, storia, geografia… Eravamo in prima, nell’edificio del Baglio, avevamo 11 anni. Il nostro banco era in prima fila vicino alla porta. La cattedra e la lavagna erano esattamente dall’altra parte. Un giorno Turi arriva con un piccolo pezzo di ramo d’albero nella borsa e lo tira fuori appena il prof. comincia la lezione. Dalla tasca estrae un coltellino, mette il rametto fra le gambe e inizia ad armeggiare con le mani sotto il banco. Io comincio a bollire. «Turi, chi fai?», gli chiedo sottovoce. «Mi fazzu na friccia», risponde «Finiscila ca se ti vidi t’ammazza» Mi guarda con la sua faccia da schiaffi e il suo sorriso da furbo: «Non mi vidi», non mi vede. «Guarda ca ti vidi. Finiscila!» «Non mi vidi!» Il professore, seduto in cattedra spiega e Turi tagliuzza il rametto, gli leva le foglioline, lo leviga. «Turi smettila ca ti vidi» «Non mi vidi» Il professore si alza, va alla lavagna, scrive qualcosa, poi tranquillo comincia a camminare verso di noi. Turi tira su la testa e lo guarda interessato e diligente. Poi torna indietro verso la lavagna. Io sono terrorizzato: «Turi smettila» «Ti dissi ca non mi vidi…» Il professore continua a spiegare e viene di nuovo verso di noi, con calma. Turi è ormai arrivato alla punta della freccia. Si ferma di nuovo, alza la testa, mette le mani sul banco e comincia a guardare l’insegnante con molto interesse e partecipazione, annuendo perfino. Il professore passa oltre, poi si gira, torna indietro e – sempre spiegando, senza perdere l’aplomb – con uno scatto improvviso lascia cadere uno schiaffone sulla guancia tenera e paffuta di Turi che solleva lui e la freccetta dalla sedia, mentre tutta la classe, caccia un grido senza capire che cosa fosse successo. Il professore dice solo «Silenzio!» – cosa che ottiene immediatamente – e senza perdere il filo del discorso torna a sedere in cattedra. Io sono impaurito, ma mi viene anche da ridere. Mi giro a guardare Turi e lo vedo tutto rosso in viso, con una manata stampata sulla guancia sinistra. Lui mi guarda con i suoi occhi furbi, sorride come se avesse sempre avuto ragione lui e sussurra spavaldo: «Mi vitti!»
Gianfranco Sansalone
E di seguito la relazione dell’amico Attilio Maria Spanò
Come dice Gianfranco, non sempre il folle è genio ma molte volte il genio è un. folle La follia di Turi, è quella cosa che appartiene al gergo comune: chillu è pacciu! Non vidi come si vesti? E’ pacciu!, una follia che non ha mai un’accezione negativa ma viene intesa come sinonimo di diversità, di artisticità… che sfugge spesso, se non sempre, agli schemi della bella società organizzata e diventa in-classificabile, in-qualificabile, in-comprensibile.
Proprio all’interno di questa in-comprensione e in-classificazione si muove l’azione artistica di Turi Spilinga!
Riprendendo, ancora, le osservazioni affettuose di Gianfranco, la diversità di Turi, che si manifesta già in tenera età, è strettamente collegata a questo suo essere un “bambino iperattivo”… quindi un ragazzo curioso, quindi un uomo pieno di interessi e che doveva in tutti i modi esprimere il proprio mondo, più che la propria arte, attraverso i manufatti.
In ogni opera di Turi è manifesta la sua necessità di urlare al mondo la propria interiorità, ecco perché il paragone con i giganti dell’espressionismo (Van Gogh per esempio), pur apparendo iperbolico è, in realtà, più che calzante.
Al di là di ogni giudizio di valore, infatti, le opere di Turi sono espressione chiara del suo più intimo modo di vivere e di manipolare la vita. Ecco perché Turi non è solo un pittore, ma è anche un falegname, non è un falegname ma è anche uno stampatore, non è uno stampatore ma è anche un poeta, non è un poeta ma è anche uno scultore… manipola la parola come manipola la creta o il bronzo… la parola, il bronzo, il colore, lo stucco, la matita, il carboncino altro non sono che modi per esprimersi, per gridare al mondo il proprio essere nel mondo, seppur in maniera diversa dai pessimi bellissimi modi borghesi…
La manipolazione delle forme espressive della realtà, nonché della realtà stessa, viene raggiunta da Turi nella collaborazione con Gianna Fimognari ; qui immagine poetica e immagine pittorica si fondono in un omaggio perfetto, donato a Gerace da due persone che abitavano, di fatto, anche molto vicine… dato che Turi, in realtà, viveva a due passi dalla casa della poetessa!
Attilio Maria Spanò
E un pensiero del prof. Gianni Spanò che ha ospitato la serata
Turi rimane il genio,rimane un Uomo che ha fatto fatica a vivere accettando le regole della nostra vita ordinata e mediocre. Una persona che era un vulcano ,la sua genialità riconosciuta da tutti e che in qualche modo doveva esprimere
Gianni Spanò
Le poesie in lingua madre e alcune opere
A Salvatore Spilinga
alla sua Arte a quello che ha lasciato e a quello che l’essere Umano deve conservare per confermare ancora una volta il “volto” della bellezza.
Maria Eleonora Zangara
FOTO DI GIANNI SPANO’
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