GRECIA -raccolta di poesie di Silvestro Neri

Domenica, Dicembre 28 2008 @ 04:53 PM CET

Venerdì 28 novembre l'Accademia Senocrito, in collaborazione con  l'Assessorato alla Cultura della città di Gerace, nella sala consiliare della stessa città, ha presentato la raccolta di poesie 'GRECIA' del dr. Silvestro Neri; era presente, oltre all'autore, il prefatore del libro, prof. Salvatore Borzì, che ha relazionato sul valore artistico e letterario dell'opera poetica.

Nella foto:Salvatore Borzì -Silvestro Neri - Domenico Cataldo - Francesco NicitaNel mondo odierno, votato all’utilitarismo e alla vana ricerca della felicità nell’effimero e in ciò che può fornire risposte pratiche ed immediate, la poesia suona come un imperativo categorico ed un monito severo alla riconquista dell’identità e dell’appartenenza. Non si sottrae a tale ruolo quella di Silvestro Neri, a mio avviso una delle voci più significative nel panorama letterario odierno, come dimostra autorevolmente il conferimento di prestigiosi riconoscimenti (il Premio delle Arti Città di Milano per la poesia nel 2002 e il Premio internazionale Città di Alassio nel 2003) all’elevatezza dei suoi versi, raccolti nelle sillogi Canti sospesi tra la terra e il cielo (Firenze, Aión 2001 – II ed. 2006), “Versi moderni nell’antica Grecia” (“Arte più Arte”, Milano 2002), Alchimista. Sonetti (Lalli editore, Siena 2003) e, da ultimo, Grecia. Poesia in due atti di Silvestro Neri (Lalli editore, Siena 2007), di cui ho avuto il gradito piacere di curare l’introduzione e le note al testo. È divisa in due parti, in due atti appunto. Il primo ripropone, con aggiunte ed attente revisioni stilistiche, liriche precedenti: i Frammenti (1971-73), Nuvole a Paxos (1976-77), Alfabeto (1987-89), Luci sul mar Ionio (1998) e Compagna di viaggio (1998-99). Ha al centro i viaggi del poeta in Grecia alla riscoperta delle radici culturali dell’Occidente nei panni di un moderno Byron, privo però, si legge nella premessa a Compagna di viaggio, della sua veste bellicosa. Queste sono recuperabili solo nelle piccole cose e nella cultura popolare, e non nelle vestigia del passato, che sarebbero dovute restare sepolte perché indegne della decadenza della Grecia odierna, imbarbarita dal progresso, come Neri sottolinea in Compagna di viaggio sulla scorta di Seferis e con un dettato vicino per molti versi a quello sferzante della Terra desolata di Eliot e di Rimbaud. Questa prima parte si chiude con le tredici poesie di Canto impossibile, presenti qui per la prima volta, che preparano il secondo atto, Amendolea, fiaba greco-calabra, anticipato da una lunga lirica che ne spiega il senso profondo. È la storia di Nino e Bastiana, due cognati rei di un rapporto incestuoso, che contamina la purezza originaria dell’Amendolea, regione grecanica della Calabria, riscattata dalla nascita di un figlio morto, innocente vittima sacrificale per una colpa così grave.
   La grandezza di Neri si incarna tutta nell’elevatezza del dettato poetico, curato in maniera quasi maniacale, come è evidente dalla lettura dei suoi manoscritti, ai quali ho avuto il raro privilegio di accostarmi, tormentati da continue correzioni, spostamenti, aggiunte. Sbalordiscono gli arditi giochi verbali e la musicalità dolce ed armoniosa, raggiunta anche a costo di forzature sintattiche ed acrobazie lessicali. Appaiono anche evidenti la lunga frequentazione dei poeti maledetti per la funzione magica della parola, che cerca di svelare l’arcano, e l’ampio ricorso al simbolo. Quest’ultimo rivela anche l’apporto della tradizione ermetica, tutto nella frequente ellissi dell’articolo, nell’uso dei plurali indeterminati e della sintassi nominale, nell’utilizzo etimologico delle parole, nella transitivizzazione dei verbi intransitivi, nell’eccesso di astratti, nel ricorso all’analogia e nell’ellissi sintattica. Tali caratteri ermetici, predominanti nella prima produzione, scemano notevolmente nella lirica di apertura a Grecia e nella fiaba di Amendolea, il cui dettato è più vicino al sermo cotidianus, per nulla privo di squisita fattezza letteraria.
   Ma un poeta è grande anche perché riesce a “commuoverci”, riesce cioè ad accomunare i fortunati lettori nella condivisione dei suoi stessi sentimenti, sentimenti universali, che risiedono nel cuore di ciascuno di noi, ma che abbiamo lasciato fuggire, travolti come siamo dal fiume impetuoso del progresso e della globalizzazione. L’uomo ha finito così col perdere quei valori che costituiscono l’essenza della sua humanitas. A costui Neri si rivolge per invitarlo a riappropriarsi di se stesso attraverso il recupero del senso dell’appartenenza, della memoria. Quest’ultima costituisce l’elemento comune di tutta la sua produzione, non a caso molto autobiografica. Numerose sono le persone a lui care presenti nei suoi versi: il nonno, la zia Savina, il padre, la madre, le figure anonime conosciute durante i viaggi in Grecia, e soprattutto la moglie, Maria Sapienza Turano, la morte della quale, avvenuta il 28 giugno 1994, ispira la stesura della prima lirica, il Canto da Avignone, che apre i Canti sospesi. Esse sono come la fiumara di Amendolea, che porta a valle, cioè nei versi, tutto ciò che trasporta (non a caso la metafora dell’acqua è molto cara a Neri).
   Forte della riconquista della propria memoria, Neri sente l’esigenza di mettersi alla ricerca di quella collettiva, di quella dell’uomo occidentale, che ritrova, come si è detto, in Grecia, e di quella popolare, celebrata nella seconda parte di Amendolea nella figura di Fortunato, che diventa poeta dopo aver ascoltato i cantastorie, gelosi custodi delle tradizioni popolari.
   Da tutto ciò si evince la forza rivoluzionaria che Neri assegna al verso, in nome della quale egli si sente un diverso dal mondo, come ribadisce la lirica di apertura a Grecia, Non era uguale ad altri, nata dalla riduzione in versi de L’isola che c’è, che chiude i “Versi moderni nell’antica Grecia”. In essa si assiste all’epifania di un essere superiore all’uomo comune, che si erge con la potenza del suo canto, che è il canto di Apollo, sulla decadenza umana, dovuta all’assenza della memoria e alla morte della Bellezza. Incarnazione di costui è Ciccillo nella seconda parte di Amendolea, un poeta bambino, che decide di allontanarsi dal mondo e di non parlare più con nessuno per rifugiarsi in una torre, simbolo di una realtà altra, fatta di magia e di sogno.
   Tale forza rivoluzionaria consiste nel fatto che nella poesia e nel recupero della memoria risiede per Neri l’unica possibilità di salvezza per l’uomo. Non mi sembra azzardato pensare allora che la poesia per il nostro abbia una grande potenza soteriologica, assumendo la forza di un credo religioso e facendosi essa stessa Assoluto, non più un semplice tramite con esso, come accade, ad esempio, in Mario Luzi. Non è un caso che nella poesia Neri trova il suo percorso individuale alla ricerca di Dio che, rifiutando i marcati sentieri del Cristianesimo, che impone un credo uguale per tutti, e passando per l’Orfismo, approda ad una religiosità totalmente laica, che è appunto fede e certezza della valenza soteriologica del verso. Questo spiega anche perché per il poeta la riconquista della memoria nella e con la poesia non si colora mai di nostalgia per un passato che non è più.
  La valenza soteriologica del verso permette, a mio parere, di concludere che tutta la poesia del nostro si può considerare un unico solenne inno alla speranza in una redenzione ancora possibile, tutta nella figura di Narciso che, nel Canto della neve dei Canti sospesi, non contempla egoisticamente e vanitosamente se stesso, ma solleva lo sguardo in alto, verso il cielo. È questa l’immagine che voglio lasciare di Neri, un uomo che, forte della potenza “redentrice” della poesia, invita tutti noi a guardare in alto, certi di poter far risorgere dall’oblio i valori che costituiscono la quintessenza del nostro essere uomini.

 Salvatore Borzì


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