La Lira Calabrese

Martedì, Ottobre 28 2008 @ 08:18 AM CET

Il mio interesse per la lira calabrese non era ancora acceso, non ancora, è bastato però sentirla suonare nel borgo di Palizzi Superiore, in una notte di mezza estate, ascoltare qualche apprezzamento di mia moglie e di mio cugino Nino ed è scattata la solita irreversibile curiosità. La convinzione del legame tra la lira calabrese e l'area Grecanica è durata pochi giorni, il tempo di riscontrare che la “patria” di questo strumento era la Locride ed in particolare Agnana, Canolo e la Frazione Mirto di Siderno. L'estensione verso il passato mi si è fermata, per il momento, ai Mugnai di Agnana e Canolo che suonavano per intrattenere i clienti durante i tempi lunghi della macinatura nei tipici mulini ad acqua, alcuni esemplari sono stati censiti nella zona di Gioiosa e Locri.

Il più famoso dei mugnai era Domenico Trimboli detto “U Barilli” che fu maestro di Giuseppe Fragomeni detto “U Fanarra”, Trimboli gli costruì la prima lira calabrese e poi “U Fanarra”, abile carpentiere e potatore, iniziò la realizzazione di molti esemplari e qualcuno è finito in museo.Ma Giuseppe Fragomeni è stato soprattutto un grande suonatore e divulgatore della lira calabrese e la sua tecnica era completamente diversa dagli altri “Liristi”, infatti, esercitava la pressione sulle corde con il polpastrello(come piace a me) anziché ponendo l'unghia lateralmente alla corda. L'interesse delle generazioni successive è rimasto circoscritto nelle frazioni sidernesi di Mirto e Donisi ed ha un poco interessato Gioiosa, in seguito si è propagato in tutte le province calabresi per merito di alcuni antropologi che hanno rilevato i percorsi dello strumento attingendo le informazioni direttamente da costruttori e suonatori.Per capirne di più si potrebbe approfondire la stessa tecnica, traendone ulteriori informazioni ma, come qualcuno di loro ha già detto, dal contatto tra le due parti ne deriva che nessuna rimarrà più la stessa. Augurabilmente alla fine dei lavori l'intervistatore ne uscirà più acculturato e “il campione” più realizzato e  stimolato ma il rischio che la conclusione “sensazionale”  si possa assottigliare al punto da minimizzare gli effetti sperati, può alterare il percorso e nel peggiore dei casi “far vittime". Bisogna accettare il rischio di non portare a termine nessuna sensazionale scoperta, infatti, se non quella di aver trovato dei personaggi eccezionali nel creare, suonare e far apprezzare uno strumento usato ancora nella Locride.

Da incontenibile curioso ho pensato che la via più rapida per la comprensione di un fenomeno fosse necessariamente quella di utilizzarne gli oggetti in relazione e nel caso specifico, dovendosi occupare sia di suonatori che di costruttori, anche di realizzare e imparare a suonare una lira calabrese. Ho inizialmente visto lo strumento un poco “limitato”, per la presenza di sole tre corde e per la mancanza di un capotasto e la tentazione di porre rimedio a questi carenze è stata forte, solo che a pensarci bene troppi cambiamenti l'avrebbero “denaturata”, ho cercato quindi di non apporre alterazioni sostanziali, cercando di capire applicando le informazioni ottenute e senza modificare.Per il progetto sono bastate, è proprio il caso di dirlo, “poche lire” di riferimento, ne esistono essenzialmente tre: La soprano, la contralto e la “ntronata”, della prima mi risulta che vi sia solo qualche esemplare nel museo di Vibo Valentia e che sia quasi scomparsa nella zona tirrenica, la mia scelta costruttiva è ricaduta sulla via di mezzo per il suo range di riferimento, a mio avviso più vicino al genere musicale di cui è stata protagonista nella zona jonica e anche perché ho appreso che quella del mitico “U Barilli” aveva un diapason di circa 34 cm. Ho letto poi, su una pubblicazione trovata in internet che il suonatore Francesco Staltari di Contrada Chiusa di Canolo(anche se più vicina a Gerace), possessore di due strumenti  di diversa misura, trova più interessante il timbro della sua prima lira  che ha oggi circa sessant'anni e che dalle mie stime fotografiche ha un diapason coincidente con quella del mitico Mugnaio di Agnana,  costruita però da un suo collega e compaesano, un certo Romeo. Ho notato con interesse che ad Agnana esisteva uno standard ben preciso ed ho quindi cominciato a realizzare alcuni volumi di prova con tavole armoniche di diverso spessore e fori di risonanze di varie forme e diametro, il rapporto migliore è risultato intorno ai due litri di volume con fondo bombato (suono più pulito) e due fori circolari da quattro cm di diametro, a distanza l'uno dall'altro di due-tre centimetri e provati con con corde di nylon da 0,7 e 0,9 mm.Solo prove  tra diverse soluzioni che, anche con piccoli scarti di volume e spessore, hanno evidenziato differenze notevoli. Mi sono quindi avviato più che convinto verso la realizzazione del mio progetto che prevedeva un corpo in frassino con diapason da 34,5 cm, tavola armonica in abete, corde in nylon da 0,9 millimetri e anima di canna. Non ho volutamente “toccato” nessuna lira calabrese prima di aver completato il mio prototipo che suonava già bene con la tavola armonica tenuta dal solo ponticello e dalla pressione delle corde. L'incontro “magico” con Francesco Staltari e la sua “sessantenne” ha chiarito molti dubbi , oltre che conferme tante convinzioni ottenute in corso di studio, ho potuto quindi migliorare la posizione dell'anima di canna e adottare le intaccature sul ponticello poco incurvato che mantiene più stabili le corde.Potevo a questo punto terminare il prototipo dal quale sono riuscito ad ottenere un timbro addirittura migliore di quello che mi aspettavo, magia della lira calabrese o vantaggio di avere come maestro lo strumento stesso?   Non lo so, ma sono certo che le “limitazioni” della fase iniziale si sono poi dissolte, lo strumento si è mantenuto nel suo tradizionale aspetto e funzione, facendosi comprendere in termini di facilità d'uso, adattabilità al genere musicale, ergonomia e considerati i mezzi disponibili all'epoca, di costruzione. In conclusione e con il pensiero profondamente modificato mi ritengo veramente “realizzato nel realizzare”, altrimenti, sai quanto lavoro per niente. Suonarla è delizioso, con l'accordatura in LA RE SOL si usa la corda centrale come bordone che vibra libero e potente e ci si abbandona nei tipici fraseggi sulla prima corda per poi chiudere archettando forte sul sol della terza libera, se una chitarra  ti accompagna in SOL e RE 7 ti diverti veramente e cominci a desiderare un tamburello per scandire il ritmo. Non prendetemi per “EUROscettico” ma la lira è tutt'altra cosa, provare per credere!

Giuseppe Rubino


©SENOCRITO
http://www.senocrito.it/article.php/20111006021838374