Il messaggio dell'Accademia Senocrito

Le statue della Cattedrale di Locri

5 Luglio 1964 , il fotografo Polifroni interpellato per un matrimonio, completava il suo servizio fotografico con uno scatto all’aperto guardando la Cattedrale di Locri. Vista la facciata ben diversa da quella attuale la curiosità relativamente alle statue resta: che fine hanno fatto?

Domanda retorica in quanto sappiamo che furono distrutte probabilmente perché cominciavano a creparsi creando, secondo alcuni, problemi di sicurezza, ergo, fu più semplice ridurle a pezzi piuttosto che recuperarle e farle vivere in uno spazio aperto alternativo. Non possiedo dati storici sull’autore di quelle sculture ed in circolazione non si recuperano nemmeno immagini ravvicinate delle opere; nella foto, comunque, emerge un’armonia stilistica che ci riporta alla data in cui venne realizzata 1933. Posso affermare con certezza che in quel periodo un giovane di 21 anni scendeva da Portigliola per seguire il processo creativo di quelle statue probabilmente da collaboratore, vista la giovane età, talentuoso quanto bastava per avere la capacità di intervenire anche sul modellato in creta oltre che seguire i vari passaggi tecnici, dalla realizzazione del calco al colaggio in cemento e graniglia, con l’anima di ferro, viste le proporzioni. Vennero realizzati ai lati due sculture raffiguranti San Pietro e San Paolo, al centro i quattro evangelisti. Il “collaboratore fidato e talentuoso” assistette alla distruzione delle opere con profondo rammarico. Il racconto è autentico in quanto appartiene alla memoria storica degli eredi.

La sua vita artistica mantenne un legame con la scultura vivendo un approccio sempre più intimista mentre la sua sensibilità artistica in generale la manifestò sempre, dipingendo, fotografando, filmando il quotidiano vivere con la sua amata cinepresa di allora. Vedeva oltre ma comunicava con la parola lo stretto necessario, preferiva i linguaggi non verbali. Andò sempre in bicicletta, studiando, osservando la costa ionica attraverso i suoi occhi di un verde luminoso quasi in simbiosi con il paesaggio. Quell’esperienza artistica divenne crescita per lui nel convincimento che c’era quel DNA  dettato anche dalla natura del posto che l’aveva visto nascere. Non ebbe l’opportunità di emergere come artista per le circostanze contingenti del periodo ma comunicò sempre e comunque l’amore per il bello cominciando da chi aveva vicino. Si chiamava Salvatore Marafioti. Luciana Vita (Tutti i diritti sono riservati)